C’è qualcosa di infinitamente ironico nei detrattori del capitalismo finanziario che manifestano i loro timori a proposito degli andamenti eccessivamente negativi della Borsa, causati dall’epidemia del coronavirus. È la stessa ironia che in queste ore di delirio tossico, di panico ampolloso, suscita in noi il sistema-mondo quando si mostra nudo in tutta la sua eloquente fragilità. Godiamo fino in fondo. Godiamo nell’eventualità di vederci costretti a rimanere chiusi in casa. Godiamo nel vedere l’altro con la mascherina, nell’ascoltare il notiziario che secerne il panico, che così facendo lo alimenta. Si tratta di un inconfutabile principio: godiamo in attesa della fine.

Ma niente, in tutto questo delirante panicomio è una grande novità: siamo di fronte all’ennesimo stress-test che ciclicamente si ripercuote sull’umanità per oleare l’esistenza. Per testare, clandestinamente, la sua stessa resilienza. Un circoscritto e prevedibile tentativo di ribellione dell’universo genetico, una tensione liberata che mira a ristabilire l’ordine nell’eco-gerarchia. Una cogente torsione che segretamente lambisce a farci secchi del tutto: ma ciò che non uccide rende più forti, perciò anche questa decantata pandemia, finirà – a sua insaputa – per rigenerarci, darci nuova linfa. O forse no?

In verità sta prendendo forma una sorta di ironia anomala. Oltraggiosa. Pedante. Si prende gioco del tecno-uomo che in preda ai suoi deliri di onnipotenza ossessivi crede di dominare il mondo. Si prende gioco della sua idea di supremazia sulla natura. E con una regolarità ciclica – quasi puntuale -, smentisce le illusioni e le promesse di un mondo più sicuro partorite negli ambienti devoti al culto dell’hi-tech. L’ironia vera però sta altrove. Questa società – già tecnicamente trans-umana per definizione – non è piegata dalla potenza minacciosa di un aggregato atomico, dalla scissione binaria che dà vita alla molecola, dal virus: ma dal timore che esso stesso secerne ancor prima dell’effettivo contagio. Non una molecola quindi, ma la reputazione che la precede a una velocità superiore a quella del contagio stesso, è ciò che obbliga un intero sistema ad abdicare miseramente. Quella che vediamo infatti è una meravigliosa genuflessione plateale del tecnico verso il naturale. Quale migliore occasione per comprendere che l’artificio è destinato ad assumere forme sempre più goffe e miserabili in futuro?

Ma non è tutto. Perché i virus non sono tra noi solo per confutare ogni certezza, per invalidare la tecnica e la scienza. Ma per rivelare, al contempo, altre verità. E dunque un ventaglio di possibilità di analisi su aspetti ora nuovi, ora già desueti (ma sempre densi di ironia), si apre dinanzi ai nostri occhi: qual è, ad esempio, la forza che ha spinto gli individui ad assaltare i negozi alimentari nelle prime ore di panico scaturito dall’allarme del coranavirus? Il coronavirus? La sua reputazione? Oppure una pulsione simile a quella che spinge tutti gli anni, in un dato venerdì  e lunedì di novembre, intere mandrie di consumatori onnivoraci a malmenarsi nei centri commerciali?

Non è forse vero che a smuovere queste grandi mandrie di consumatori è sempre un virus? Cosa sono altrimenti il Black friday e il Cyber Monday, se non eventi che palesano gli effetti collaterali più bestiali di questa patologia artificiale (ormai congenita), che da dentro ci divora? Consumismo e coronavirus scatenano negli individui le medesime pulsioni regressive: psicosi, stress, urgenza, foga, furia, onnivoracità bulimica. E la pulsione parte sempre da un allarme (vero o falso), ma mai dall’evento in sé (che spesso non si verifica).

AFFRETTATEVI A FARE SCORTE
PRIMA CHE SARÀ TROPPO TARDI!

Così nella settimana del Black Friday e così anche nel caso delle epidemie. Ma né la merce finisce con l’esaurirsi, né il contagio dell’epidemia si rivela definitivamente letale. L’allarme, tuttavia, funge da richiamo. E’ l’ululato perfetto del tecno-branco che attira i consumatori nella foresta di metallo. L’onnivoracità programmata è dunque un virus che si attiva a comando in un preciso momento. Il comando è questo ululato, questo procurato allarme che fa scattare le pulsioni più funeste. 

Anche i Fridays for Future – altra celebrazione del panico – sono un dato interessante da rilevare in questo ventaglio di nuove verità, di aspetti celati rivelati dal virus. In quelle piazze si propaga a profusione e si consuma compulsivamente. Cosa? Una primizia immateriale nell’universo ansiogeno. La paura. Paura che il Pianeta ci rimanga secco. Paura che l’uomo lo distrugga per sempre. Paura che non ci sarà più acqua che scorrerà libera nei fiumi, aria pulita per ossigenare il bello della Terra. Ma il virus, imparziale e impietoso nella sua esposizione, ci rivela esattamente il contrario. Ovvero: più gli individui proveranno a ingabbiare il mondo con i loro artifici, più il sistema immunitario di quest’ultimo proverà ad eliminarli. E il non comprenderlo è una mancata catarsi che rimette nuovamente al centro l’ironia.

La stessa che percula i detrattori del capitalismo finanziario intimoriti per l’andamento negativo della Borsa. La stessa che genuflette la tecnica e l’artificio. La stessa che investe un mercato che fa schizzare il prezzo dell’amuchina alle stelle mentre le economie del globo sprofondano nel rosso. Ma l’ironia è solo un singolo aspetto di una lezione ancora più grande. Cosa abbiamo appreso da un accadimento come questo? Che più si è infinitamente piccoli davanti all’infinitamente grande, più la possibilità di rendersi invisibili e di guastarlo dall’interno è potente. Più la grandezza si illude di essere invincibile, più è potenzialmente vulnerabile dinanzi al microbo, che assume la funzione del corpo estraneo, del granello di sabbia che manda in paranoia gli ingranaggi. Bisogna essere virus allora, per genuflettere un egemonia. Bisogna essere virus per poter assumere un carattere letale.

Questa lezione non ci è del tutto estranea. Da tempo essa è già presente nell’immaginario della collettività. “Non sono sparito, sono soltanto molto piccolo, sono un germe di una malattia molto rara. Il mio nome è Malignalitaloptereosis!”, così Merlino contro Maga Magò in La spada nella roccia. Possiamo negare allora, che c’è molta più filosofia, saggezza, e sintesi concettuale della verità in quella sequenza, che in tutte le parole dette fin qui? A questo punto non ci resta che riformulare un nuovo anatema contro i grandi artefici del futuro: non una risata, ma una molecola vi seppellirà!

 

 

Articolo apparso su L’intellettuale Dissidente
il 6 marzo 2020
Giancarlo Cutrona